27/10/07

La lavorazione della seta

Il sistema idrico di Bologna era importante anche per la diffusione dell'acqua ai numerosi mulini da seta presenti in città.
La seta è una fibra naturale prodotta dal baco per formare il bozzolo.
Fin dall'antichità questo filo lungo alcune centinaia di metri veniva svolto dal bozzolo attraverso una prima lavorazione detta trattura.
Per questa operazione occorrevano una bacinella e un aspo.
Dalla bacinella che conteneva i bozzoli a bagno nell'acqua calda, una lavorante formava con una decina di capi un unico filo, che un'altra donna avvolgeva su un aspo formando una matassa.
Progressivamente la trattura si concentrò in grandi filande dove decine di operaie eseguivano il lavoro con macchine sempre più perfezionate.Prima della tessitura i filati subivano un'ulteriore lavorazione; uno o più fili venivano irrobustiti e compattati attraverso ripetute torsioni.
Questa operazione, detta torcitura, si faceva tradizionalmente a mano, o con l'aiuto di piccoli strumenti domestici, come il fuso.
Tuttavia a Bologna fin dal Trecento venne utilizzata per la torcitura della seta una macchina complessa di origine lucchese, il filatoio rotondo.
Si trattava di una macchina mossa a braccia che permetteva di svolgere e torcere contemporaneamente i fili di centinaia di rocchetti.
Al prototipo lucchese i bolognesi applicarono la ruota idraulica e in tal modo filatoi di piccole dimensioni collocati in una stanza si trasformarono in mulini da seta disposti su tre o quattro piani di edifici nei quali si affollavano decine di operai.I filatoi potevano utilizzare solo fili avvolti in rocchetti.
Il trasferimento dei fili dalle matasse sui rocchetti, detto incannatura, era eseguito a mano da donne che lavoravano nelle loro case.
Questa operazione manuale, a causa della sua lentezza, creava un rallentamento del ciclo produttivo, solo parzialmente meccanizzato.
Nel Cinquecento a Bologna per risolvere questo problema fu introdotto l'incannatoio meccanico azionato dagli organi di trasmissione del filatoio.
I mulini da seta alla bolognese (con ruota idraulica e incannatoio meccanico) risultavano particolarmente efficienti in quanto aumentavano i ritmi produttivi e garantivano filati di migliore qualità.La velocità costante della ruota idraulica, assicurata da un regolare flusso d'acqua, permetteva di ottenere dei filati uniformemente ritorti e più resistenti.
Col mulino da seta si preparavano vari tipi di filati per trame e orditi.
Il più famoso di questi era l'organzino ottenuto dalla torsione congiunta di due fili prima torti separatamente.
Gli storici della rivoluzione industriale affermano che il mulino da seta alla bolognese rappresenta un importante esempio di sistema di fabbrica protoindustriale.
Il processo produttivo era infatti interamente meccanizzato: gli operai si limitavano ad alimentare le macchine, annodare i fili quando si rompevano, togliere le matasse già ritorte dall'aspo e riporle in apposite ceste.
La lunghezza della giornata lavorativa degli operai dei mulini si aggirava sulle quattordici ore.
A causa di un pregiudizio che considerava la luce del sole dannosa per il colore della seta, si lavorava in spazi ristretti e nella semioscurità.
L'aria chiusa, umida e polverosa e l'eccessiva lunghezza della giornata lavorativa erano particolarmente dannose per la salute degli operai, tra i quali erano numerosi i bambini.La tecnologia del mulino da seta fu custodita a Bologna come il più geloso dei segreti, poiché si temeva che la sua diffusione in altre città avrebbe alimentato una pericolosa concorrenza. Tuttavia, malgrado le gravi pene previste per chi violava il segreto, già alla fine del Cinquecento il sistema del filatoio alla bolognese venne esportato a Reggio e a Venezia.
Verso la seconda metà del Seicento i mulini da seta cominciarono a diffondersi nell'area lombarda e in Piemonte.
All'inizio del Settecento una spia industriale inglese, John Lombe, portò in Inghilterra il segreto del mulino e, grazie all'aiuto di operai specializzati di origine italiana, costruì vicino a Derby un grande mulino da seta.Secondo alcuni storici si tratterebbe della prima fabbrica moderna realizzata in Inghilterra.
Per le ragioni di segretezza già ricordate, le immagini a noi pervenute relative alla macchina da seta alla bolognese sono poche, reticenti o lacunose.Solo i disegni di Heinrick Schickhardt (1599) e di Antonio Zonca (1607) riproducono la macchina nella sua complessità, pur non fornendo elementi sufficienti per la costruzione.
La produzione della seta è stata per secoli il più importante settore dell'economia bolognese. A guidarlo era la potente corporazione dell'Arte della Seta.
Alla fine del Seicento si concentravano entro le mura di Bologna 119 mulini da seta mossi da 353 ruote idrauliche, della potenza di 1 o 2 HP, alimentate dall'acqua che raggiungeva le cantine di interi isolati.
Il setificio bolognese, che alla fine del XVI secolo dava da vivere a circa il 40 % della popolazione, era suddiviso in due settori: l'Opera bianca o dei veli, che impiegava solo sete locali, e l'Opera tinta, specializzata nella produzione dell'organzino e dei drappi.
I contadini erano obbligati a vendere la seta greggia sul mercato urbano.
Questo allo scopo di alimentare le industrie concentrate a Bologna.
La maggior parte della seta prodotta veniva esportata tramite Venezia sul mercato internazionale, in Francia, nelle Fiandre, in Germania, in Inghilterra, nell'Oriente turco.
Dalla fine del Seicento cominciò un lento declino dell'industria serica bolognese.
La costruzione di mulini più perfezionati capaci di fornire prodotti di migliore qualità in Piemonte, Lombardia e Veneto, l'instabilità politica, le guerre del periodo napoleonico e la forte diminuzione della produzione dei bozzoli concorsero al tramonto definitivo dell'industria serica bolognese.
Nei primi decenni dell'Ottocento i mulini da seta appaiono ormai in decadenza.
Se la ricerca di nuove soluzioni e innovazioni tecnologiche era stata il punto di forza di Bologna in questo settore, l'incapacità di rinnovare le tecnologie e fronteggiare la concorrenza con macchine più moderne fu il vero motivo della crisi.